Che cos'è la Teatroterapia

Che cos'è la Teatroterapia

Che cos'è per me la Teatroterapia

Che cos’è la Teatroterapia? Bellissima domanda. Ci sono numerosissime definizioni di questa pratica, ma leggendole mi sembrano sempre incomplete o riduttive, o scritte talmente bene da far sembrare tutto o tremendamente noioso o raffinatamente accademico. Quando qualcuno mi chiede che lavoro faccio ed io rispondo “sono teatroterapeuta” la stragrande maggioranza delle persone risponde “Cioè?” ed è proprio lì che casca l’asino perché come puoi spiegare un’esperienza se non raccontandola? Ma trattandosi, spesso, di domande di circostanza mi limito a rispondere “cioè mi occupo di teatro e mi interessa tantissimo il genere umano”. Qualcuno rimane un po’ interdetto e lascia cadere l’argomento, facendosi bastare questa affermazione, altri si incuriosiscono e allora, di solito, inizio a raccontare la mia esperienza cercando di trovare le parole migliori possibili. In effetti, una delle cose che ho compreso su me stessa durante la mia formazione in Teatroterapia è proprio che le parole, a differenza di quanto pensassi prima, in realtà non sono per nulla il mio forte e che il mio mezzo di comunicazione più affine, comodo e affidabile è il mio corpo, il movimento e il contatto. Probabilmente se adesso potessi mostrarti l’effetto che mi fa il mio lavoro con una performance muta o la mia gratitudine con un abbraccio, probabilmente sarebbe molto più chiara della lettura di queste mie righe di testo.

Alla fine del mio percorso universitario avrei potuto scegliere di specializzarmi in un mestiere “dietro le quinte” oppure di iscrivermi all’Accademia di recitazione e fare della scena il mio mestiere. Per quanto entrambe le opzioni mi attirassero profondamente, sentivo che nessuna delle due mi avrebbe soddisfatto pienamente. Non mi ricordo come e quando sia arrivata l’idea della Teatroterapia, ma mi ricordo con chiarezza il sapore di cosa giusta che ho percepito istantaneamente. Poi le ricerche su Internet, la racconta di informazioni, qualche mail, e, a maggio del 2017, ero a Firenze alla Scuola di Teatroterapia, a 22 anni non ancora compiuti e nemmeno ancora laureata. Mi sono ritrovata ad essere la più giovane in mezzo a persone per lo più con già alle spalle anni di formazione nella relazione d’aiuto, attori, professori, insegnanti di yoga e bioenergetica, eppure mai, nemmeno per un secondo, mi sono sentita fuori posto. Presto ho compreso cosa ci fosse dietro a questa magia: accoglienza, non-giudizio, ascolto profondo. Queste sono i primi tre concetti che ho scelto di raccogliere da questo percorso e portare con me, tanto nel mio lavoro quanto nella mia vita quotidiana. Accoglienza, non-giudizio, ascolto profondo sono i tre elementi che mi hanno permesso di non rendermi mai conto delle differenze di età con gli altri componenti del gruppo (che prendo in considerazione perché giustamente più volte mi è stata ricordata e sottolineata), di portarmi sullo spazio scenico e mostrarmi senza maschere, non senza resistenze, ma nonostante le mie resistenze, di ballare senza coreografia, di lasciarmi andare e ridere e piangere davanti a tutti, di raccontare cose che mai avrei pensato di dire a qualcuno. Accoglienza, non-giudizio, ascolto profondo.

La seconda serie di concetti che porto con me sono: corpo, tridimensionalità, contatto. Approdando alla scuola, a seguito di una lunghissima esperienza di danza, ero certa di conoscere a memoria il mio corpo, le sue possibilità e i suoi bisogni in maniera perfetta e assoluta. Mi sono, però, bastate le prime 2 ore del mio primo seminario, per accorgermi che la parte posteriore del mio corpo era praticamente finita nel dimenticatoio, che non mi ero mai accorta di avere sensibilità della pelle tra le dita delle mani, che non mi ero mai lontanamente fermata a pensare a quante cellule e liquidi si muovessero costantemente all’interno del mio corpo e che prestare attenzione alla percezione di tutti i sensi contemporaneamente era per me come fare uso di LSD. Ottima partenza! Inutile dire che in tre anni di percorso la percezione del mio corpo è radicalmente cambiata, e una delle cose che ho imparato è che non imparerò mai a conoscerlo perfettamente, ma piuttosto è lui a conoscere me, ed è bene ascoltarlo e curarlo, perché purtroppo o per fortuna, in genere ha ragione lui. Uno degli obiettivi a cui tengo di più, nel mio lavoro, è proprio far scoprire questa cosa alle persone che accompagno.

Un’altra scoperta importante per me è stata quella di osservare come un corpo può reagire ad un contatto, ridefinendosi, conservandone la memoria, rifiutandolo, ripristinando il suo senso di completezza, riconfigurandosi. Mi ha molto affascinato il modo in cui un tocco possa lasciare una forte impronta e perché questa sia piacevole e non intrusiva sia necessario dedicare cura, attenzione e intenzione a questa operazione. D’altra parte è anche incredibile quanto si possa percepire nella propria pelle con un contatto, quanto movimento si possa sentire appoggiando la mano sul corpo di un compagno di viaggio, quante e quali immagini possono arrivare. Oggi mi piace molto ascoltare, comunicare, contattare, esplorare attraverso il corpo, che poi è il mezzo fondamentale senza il quale non potremmo portarci nel mondo.

Altri due concetti che certamente porto con me sono pluralità e metafora. In questi anni di corso ho scoperto di non essere una, monolitica e con un’identità precisa. Anzi, a dire la verità ho scoperto che dentro di me ci sono un gatto pigrone e ruffiano, una bambina che vorrebbe fare la lotta con i cuscini, un mostro, una principessa, un’attivista di nome Giorgia, un direttore di banca. Questi sono solo alcuni dei personaggi che popolano il mio mondo interno. Ho scoperto che quando tutta questa gente vive in armonia e ad ognuno viene concesso il diritto di voto va tutto bene, ma se qualcuno di loro prende il comando, se si istaura una dittatura, o anche solo se due personaggi litigano, allora iniziano i guai. Spesso non è nulla che non si possa risolvere con una bella chiacchierata o un contratto ben redatto. Altre volte è necessario un intervento un po’ più incisivo per mettere pace tra le parti o ripescare dall’oblio qualche personaggio dimenticato. Proprio come ho appena fatto, ho imparato che non c’è nulla che non possa essere spiegato attraverso una metafora, strumento potentissimo, in grado di astrarre e concretizzare, rendere qualcosa più familiare o più lontano, avvicinare o mettere distanza, fare paura o rincuorare, o addirittura rendere tollerabile il contatto con qualcosa che se avesse un altro nome o un’altra forma sarebbe difficile da affrontare. Credo che la metafora sia uno strumento fondamentale nella relazione d’aiuto, perché anche quando il problema non è per nulla chiaro attraverso l’immaginazione si può trovare una qualche immagine di partenza, da cui un qualsiasi lavoro può prendere le mosse. Allo stesso tempo non riesco ad immaginare nulla di più poetico e teatrale.

Scrivendo, poi, mi rendo conto che anche la mia descrizione di Teatroterapia è assolutamente riduttiva perché essa è anche esperienza, gentilezza, ricordi, autobiografia, creatività, immaginazione, improvvisazione, risate ed imbarazzo, colori, musica, interazione, movimento, narrazione, scena, presenza, sogni, polarità, spazio, visioni, esplorazione di nuovi orizzonti e tantissimo altro ancora. Non credo sia stato un caso che la scuola in cui mi sono formata fosse un ex-vivaio. Ciò che ho vissuto è stato per me qualcosa di simile ad un “coltivarmi” ed “essere coltivata” sia come persona sia come professionista della relazione d’aiuto, sia come artista. Per questo se magari a questo punto ti stai chiedendo “ma a chi è indirizzata la Teatroterapia?” la mia risposta è che non c’è assolutamente un target! Come avrai capito il concetto di “terapia” utilizzato nel termine è anni luce lontano dal concetto medico, ma è piuttosto un prendersi cura di sé attraverso un percorso di conoscenza di se stessi, del proprio corpo e del proprio mondo interno attraverso un canale espressivo potentissimo e affidabilissimo come il teatro, che aiuta le persone attraverso la catarsi fin dall’antica Grecia! Quindi possiamo dire che la Teatroterapia è indirizzata a chiunque abbia voglia di mettersi in gioco, a chi ha voglia di conoscersi meglio, di esplorare nuove possibilità espressive e creative, chi si trova “fermo” ed ha voglia di muoversi, a chi ha voglia di ridere e a chi ha voglia di piangere, agli artisti bloccati, alle persone che si sentono “uno” e vogliono trovare i propri personaggi interni, alle persone libere e a quelle che si sentono legate, a chi vuole essere al centro della scena e a chi piace stare dietro le quinte, a chi pensa di non essere un artista e a chi si sente l’arte scorrere nella vene, a chi ama il silenzio e la contemplazione e a chi ha voglia di scatenarsi, a chi ha un tema su cui vuole lavorare e a chi è solo curioso… insomma, è per tutti, è inclusiva e senza frontiere…ed è per questo che la amo.

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